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Ci penserò su.

—BASTA!— urlò Appio Claudio, primo Ministro di Novuno. I recenti avvenimenti (il suicidio di Dracone –diviso tra la legge e la sua coscienza– e la morte per infarto di Cicerone –disperato per un errore che non voleva ammettere) e il fatto che il giudice aveva fatto ormai la sua decisione, ma l’esecuzione non era ancora stata eseguita lo facevano imbestialire; inoltre, la morte dei due grandi e l’ingiustizia della causa stavano scatenando molti disordini in città. —Ora me ne occupo io.—. —Ma, signore— borbottò la generalessa, Pentesilea —è contro la procedura agire senza …— —Poche storie— rispose Appio —sono IO il capo delle forze dell’ordine, non parlamentari e giudici. E anche la sorella dev’essere arrestata e giustiziata con lui— —Ma la pena di morte è contro la costituzione, e poi la signorina ha il diritto ad un processo— —Avrà il processo: MORTA! E adesso basta con le storie; OBBEDITE!—. Le guardie guardarono la generalessa, chiedendosi cosa avrebbe fatto. Lei si limitò a guardarli, e a fare un cenno come per dire “obbedite”: il minisstro Appio era troppo autoritario per disobbedirgli.

Quindi, un gruppo di guardie partì dal commissariato di StelSalente, secondo la leggende edificato dove era caduto il primo raggio di luce dell’alba del giorno in cui nacque la città, illuminando una forma di stella nel terreno e proiettandone l’immagine nel cielo.

Aron guardò la sorella Regina, e lei guardò lui. Regina era sempre stata convinta di cosa doveva fare, ma ora non diceva nulla. Aron, invece, non aveva mai saputo contrapporsi a lei, e ora s’aspettava qualcosa. Tommaso entrò in stanza:—Tutto bene?— Aron si limitò a spostarsi in un’altra stanza. Uscito lui, Regina si buttò tra le braccia del coetaneo novunese, piangendo:—Sto sbagliando tutto! TUTTO! Ogni mia decisione non ha fatto che peggiorare le cose. Cosa posso fare?— Tommaso non sapeva cosa dire. Proprio in quel momento Aron, che stava origliando, decise; entrò nella stanza e propose:—Basta, andiamo a cercare tuo zio, Tommaso.— i due ragazzi, sorpresi si questo slancio improvviso, lo guardarono esterrefatti. Aron insistette:—Avete un’idea migliore?-. I due ragazzi, ovviamente, non ne avevano, quindi decisero di fare come diceva lui. Dello zio di Tommaso Aron e Regina sapevano solo il nome e la leggenda per cui era il fondatore del palazzo di giustizia, Montardesia. Iniziarono quindi a congetturare dove poteva essere andato.

ARCHIMEDE

Appio Claudio entrò nella via e guardò la casa e le sue mura bianche: stonavano con quello che stava per ordinare. —Signore, è sicuro?— chiese Pentesilea. —Può sembrarti crudele, ma se vogliamo l’ordine in città non dobbiamo avere pietà: i due moriranno, e con loro anche il ragazzo che li ospita. Poi diremo che hanno cercato di opporsi all’arresto.— Il terribile ministro ghignò:—Potremmo anche ferire uno dei nostri, per rendere più realisticaalla storia.— Un attimo, un ordine e le guardie (unici individui in tutta Novuno ad avere armi da fuoco) entrarono con l’ordine di sparare a vista… ma non videro nessuno.

I ragazzi invece videro tutto dai Denti della Giustizia: secondo un volantino trovato da Regina, lì doveva esserci una grotta nascosta conosciuta solo da Archimede e pochi altri. —Cosa sai dirci di chi li comanda, Tommaso?— —Ci sono il I Ministro, Appio Claudio e la generalessa Pentesilea, abilissima nel combattimento.— Spiegò Tommaso, tremando: Regina e Aron non potevano saperlo, ma Tommaso si rendeva conto che il ministro voleva farla finita ad ogni costo. Regina trovò l’entrata della grotta segreta: Riuscirono ad entrare, e sentirono una voce sussurrare: —Sapevo che ala fine qualcuno mi avrebbe trovato.— Avanzarono, guardarono e … —ZIO!— urlò Tommaso, felice. I due si abbracciarono, e Tommaso gli presentò Regina (Aron lo conosceva già, avendolo salvato temporaneamente dalla prigione). L’anziano uomo, più simile a Leonardo da Vinci che ad Archimede di Siracusa, si sedette, e i tre ragazzi gli raccontarono quanto era successo e lui annuì piana piano. —Sta succedendo quello che avevo previsto— concluse. —Lo sapevi?— chiese Tommaso. —No, ma l’ho capito quando ho visto lo sguardo di Dracone, nel quale per un momento era affiorato il dubbio. Doveva accadere, prima o poi.—

Archimede portò i ragazzi all’interno della grotta, in una zona arredata, e si sedette ad un tavolo, invitandoli a fare altrettanto, e iniziò a raccontare:

—Novuno fu fondata da me, Dracone, Cicerone, Appio Claudio, Pentesilea e pochi altri, morti da tempo. Fui io a progettare i principali palazzi, e creammo leggende su di essi per attrarre persone, dando ad essi i nomi attuali: Montardesia, Cediloco, Stelsalente, e così via.— —Ma allora— commentò Regina —Le leggende erano nacquero per propaganda—

—Be’— rispose Archimede ridacchiando —Non siamo stati i primi, e non saremo gli ultimi.— Poi tornò serio e continuò:—Subito furono nominati capi Dracone, Cicerone e Appio Claudio, che diedero la costituzione e la legge che conosciamo. Ognuno quindi in base alle sue virtù scelse uno dei tre poteri: Dracone, imparziale e schietto, divenne giudice, Cicerone, abile e giusto oratore, divenne parlamentare e Appio Claudio, carismatico e autorevole, divenne Primo Ministro. La costituzione era democratica, ma di fatto, erano loro tre, con la loro grandezza e le loro capacità, a controllare lo stato. Ma nel tempo, le loro virtù si estremizzarono, diventando difetti: Dracone divenne troppo rigido, Cicerone troppo presuntuoso e Appio Claudio troppo dispotico. Questo sistema funzionò comunque fino a quando le cause furono giuste e la legge non si rivelò sbagliata. Ma non si poteva andare avanti ancora a lungo: se non fossero stati Regina e Aron a inceppare il meccanismo politico, sarebbe stato qualcun altro.— —Allora non è colpa nostra?— chiese Aron. —No, ragazzo.— rassicurò Archimede —Voi siete stati solo la molla, ma il meccanismo non poteva più funzionare ancora a lungo. La colpa è dei tre grandi di Novuno, che pur di essere sicuri della funzionalità del loro sistema continuarono la politica, senza rendersi conto di quanto erano diventati importanti: finché possono seguire loro, i Novunesi mai seguiranno altri; e così, è successo quello che sappiamo.—. —E tu perché eri qui?— chiese Tommaso. Archimede sospirò:—Ho visto buona parte della mia famiglia e dei miei amici svanire nel nulla durante la fusione o morire nell’Anno Senza Tempo che ne seguì: non ho voluto vederne morire altri, sono troppo vecchio per sopportarlo—.

Sui commensali scese il silenzio, finché Archimede disse:—Ora tocca a voi—. —Cosa intende?— chiese Aron —Vedo nei vostri occhi le vostre preoccupazioni— i tre ragazzi si guardarono: in quel periodo molte cose erano accadute, e s’erano resi conto di non essere tanto migliori di coloro che gli davano un’ingiusta caccia: Aron non era capace di farsi valere, Regina non era capace di ascoltare e Tommaso era troppo veloce nei giudizi. —Tutti hanno dei difetti— disse Archimede, come se avesse letto loro il pensiero —ma nessuno ha il coraggio di accettarlo: preferiamo vedere il male negli altri perché ci fa sentire superiori. Voi però avete accettato di avere dei difetti: ora dovete solo imparare ad accettarli e a moderarli— —Il che vuol dire?— chiese Aron: la spiegazione sembrava non spiegare niente —La perfezione— chiarì Archimede —non può essere raggiunta, ma solo seguendola si può migliorare, purché non diventi un’ossessione, come fu per i tre Grandi Novuniani— —Forse ho capito- disse Regina, sorridendo: —Aron, per esempio, sa di essere troppo timido per mettersi in gioco, ma ha superato questo difetto nel momento in cui serviva! Non serve eliminare questi difetti: basta saperli ridurre, superandoli solo quando è necessario— —Sei una ragazza davvero intelligente Regina: hai azzeccato in pieno— la elogiò Archimede.

LA BATTAGLIA FINALE

Archimede s’alzò, spaventato:—È qui!—

I ragazzi si girarono: all’entrata della grotta c’erano Appio e Pentesilea, che avevano lasciato indietro le guardie per esplorare il terreno —Finalmente vi ho trovati— disse Appio —Pentesilea, uccidili—

Pentesilea esitò. Archimede subito cercò di fermarli nell’unico modo in cui lui, ormai vecchio e stanco, poteva:—Vi prego, voi rappresentate la nostra città! Non lasciate che il vostro desiderio di ordine venga messo davanti alle leggi e alla giustizia.—

—Taci vecchio— rispose Appio —Pentesilea, cosa aspetti?—

Pentesilea imbracciò il fucile, ma si girò verso Appio.

Uno sparo, un urlo, e Pentesilea cadde per uno sparo di Appio. Ghignò:—Ora mi basterà dire che l’avete disarmata e che dopo un arduo scontro ho dovuto farvi fuori.—

—Nessuno crederà che Pentesilea sia stata sconfitta!— affermò Tommaso

—Non ha parlato di sconfitta— replicò Archimede mestamente

—Infatti—ghignò Appio —Nessuno sopravvive se preso a tradimento, e io dirò ciò—

I ragazzi tremarono mentre Appio puntava il fucile contro di loro:—Addio— Ma in quel momento, Pentesilea, in un ultimo spasmo, riuscì a sparare al ministro, colpendolo alla gamba. Il ministro preso di sorpresa sparò verso l’alto, colpendo le stalattiti sopra di lui: fece appena in tempo a dire —Tutto qui?— che le stalattiti gli caddero addosso, trafiggendolo.

Un mese dopo, anche Archimede morì, ma di vecchiaia e felice: infatti, Tommaso, Regina e Aron, salvata Pentesilea, s’erano fatti aiutare da lei per ripristinare l’ordine in città. Quindi avevano fatto abolire la famosa legge contro l’opposizione di un giudice contro l’altro, e sistemarono leggi sulla durata delle cariche. Il giudice che aveva dato inizio a tutto temette una vendetta, ma Aron e Regina decisero di lasciar perdere, accontentandosi di punirlo per abuso di potere. Finito tutto avevano sostituito Dracone, Cicerone e Appio Claudio nel cuore della gente, ma preferirono ritirarsi, dando alla città un sistema realmente democratico. Con ciò non voglio dire che non ci furono più problemi da allora, ma essi, oltre a rappresentare un’altra storia, sono inevitabili, qualunque forma di governo si scelga. Tre anni dopo questi fatti, Regina e Tommaso si sposarono, e dopo altri cinque anche Aron si accasò, e i tre vissero una vita normale, tra alti e bassi, non potenti politici, ma normali cittadini perbene, con il loro lavoro, la loro famiglia, i loro amici e i loro problemi. E vissero felici e contenti per il resto dei loro giorni.

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—Quindi non riproverete a fuggire?—
—No, Tommaso. Aron già non mi sembrava d’accordo, pur non avendomi detto nulla, e dopo quello che è successo… Dovrò pensare ad altro.—
Tommaso annuì. Era rimasto scosso come tutti dal suicidio di Dracone, e non riusciva a capacitarsi di come non potesse sostenere il suo compagno come diceva la legge, lui che sembrava avere le norme al posto del cuore. Era la prima volta che doveva mettere in dubbio le sue certezze, e questo lo sconvolgeva più di quanto avrebbe fatto con chiunque altro.
—Piuttosto— continuò Regina sorridendo —quando torna tuo zio Archimede? Non ho ancora avuto il piacere di conoscerlo.— Di quest’uomo Regina sapeva solo il nome datogli dopo la fusione dimensionale e la sua importanza nella progettazione dei principali palazzi di Novuno.
—Non so— rispose il diciottenne alla sua coetanea —è andato fuori città; non so il perché in realtà—
Regina si lasciò andare sulla panchina, e sapendo come le leggi di Novuno imponessero più di n giudice nei casi giudiziari chiese:—Chi si occuperà del nostro caso?—
—Pare si stia discutendo una legge in parlamento su cosa fare in caso di morte di giudice— rispose Tommaso —o meglio, si sta aspettando di vedere cosa ne dirà Cicerone—.
—Cicerone?—
—È di fatto il capo del parlamento: quando parla, nessuno riesce a contraddirlo. È un oratore eccezionale.—
—Oh— fu la reazione della ragazza, sorpresa nello scoprire come certa gente riesca ad imporsi.
I due giovani tacquero per un po’, poi Tommaso chiese:—Ti va un gelato?—

Entriamo a Cediloco, sede del parlamento di Novuno, dove secondo la leggenda caddero tre fulmini interpretati come segno per la fondazione della città. Il più abile nell’oratoria tra i parlamentari, come già detto, si chiamava Cicerone. Fu lui a redigere la costituzione di Novuno, ma di fatto ormai era lui a decidere le leggi). Cicerone era tanto sicuro di ciò in cui credeva da non ascoltare le opinioni altrui: quello che diceva lui era giusto.
Ma ora si trovava davanti ad un problema: lui aveva stilato la legge per cui i giudici non dovevano interferire in nessun modo, per evitare che un giudice fosse costretto ad ostacolarne un altro per minacce, e molti quella mattina gli avevano rinfacciato la colpa del suicidio di Dracone, scisso tra il rispetto di tale legge e quello per le leggi contro gli abusi di potere, e ora stavano usando la faccenda contro di lui; cercò in tutti i modi di dirigere l’attenzione sulla rigidità del giudice, ma inutilmente. Cicerone alla fine, punto sul vivo, prese una decisione:—Visto che non mi volete più ascoltare come un tempo, vi dimostrerò che la morte di Dracone non ha nulla a che vedere con quella legge. Vedrete chi è Cicerone.—

FOLLE AGITAZIONE
—Non credo sia una buona idea— ripeté Tommaso per la centesima volta
—Ne abbiamo già discusso: è la cosa migliore da fare— rispose Regina
—Regina, neanche tuo fratello mi sembra d’accordo, anche se non vuole contraddirti—
—So io cosa è meglio per lui, meglio di lui—
Tommaso tacque: non si sentiva in vena di discutere. Come già detto, vedere i suoi errori, essere costretto a vedere le sue certezze eccessive, lo aveva stravolto: non aveva mai dubitato così di sé stesso dalla morte dei genitori. La parte peggiore però era questa: rendendosi conto del suo errore verso Dracone, si sentiva simile al giudici che stava perseguitando Aron per una sciocchezza.
Mentre lui pensava a questo, Regina rifletteva su come eseguire il suo piano e Aron si chiedeva se e come dire alla sorella cosa ne pensava, entrò Cicerone.
—Onorevole Cicerone, cosa vuole?— chiese Tommaso.
—Voglio scoprire cosa ha portato al suicidio di Dracone—
Tommaso era un po’ confuso, ma conoscendo il carattere del parlamentare cominciò a temere cosa stesse succedendo. Comunque, rispose: —La legge che impedisce a un giudice di opporsi ad un altro giudice lo ha scisso tra il rispetto per essa e …— ma venne interrotto.
—Impossibile— Interruppe Cicerone —La legge che obbliga i giudici di sostenersi anche nell’errore avrebbe dovuto essere sbagliata in questo caso, ma era stata ideata da me, e io non faccio errori.—
—Cosa?— esclamò Regina, che non conosceva il parlamentare.
—Cosa è successo?— chiese Cicerone con la fronte aggrottata. —L’abbiamo già detto— rispose Tommaso, cominciando a temere il peggio. Cicerone sbarrò gli occhi:—Cosa avete fatto?-
—Lo hanno visto tutti— rispose Regina, sempre più spaventata. Gli occhi di Cicerone si fecero tremendi, ancora più di quelli di Dracone. Si buttò contro i ragazzi urlando le stesse domande. I ragazzi si spostarono per evitare lo scontro, ma il parlamentare, ormai impazzito, non mollava, e assunse una faccia terribile e pallida mentre continuava a ripetere le stesse due domande, con un tono sempre più furioso e un volto sempre più spaventoso; iniziò praticamente ad aggredirli fisicamente dalla furia, sempre facendo queste domande, ma era rallentato dal grasso. Ma all’improvviso, iniziò a mugugnare e a fare versi strani.
—Cosa succede?— chiese Aron- Il parlamentare cercò di saltargli addosso, ma Regina d’istinto si pose tra lui e il fratello, e Cicerone si aggrappò alle sue vesti. Tommaso subito lo staccò tirando indietro Regina. Cicerone non li seguì, ma rantolò sul pavimento per un po’, quindi crollò a terra.
All’ospedale, lo dichiararono morto per infarto.